Sempre più spesso si sente usare questo termine e parlare di “cura della persona” nell’ambiente di lavoro come opportunità di crescita per l’azienda e le organizzazioni. Per definizione, con Benessere Aziendale si intendono tutti i benefici delle politiche aziendali mirate a favorire il benessere dei dipendenti. Per l’azienda, ma anche i dipendenti, addirittura i clienti, è possibile realizzare un’oasi capace di offrire il relax necessario per favorire la concentrazione, combattere lo stress e lavorare in condizioni migliori.

È qualcosa, perciò, che riguarda non solo i singoli lavoratori, ma l’azienda nel suo complesso, vista come organismo vivente. E dunque il concetto di benessere deve essere riferito a tutti i molteplici aspetti dell’impresa, ai vari settori, ma soprattutto i funzionamenti interni e profondi, o meglio ancora le “radici”, le “basi” del funzionamento stesso dell’organizzazione.

Cercheremo dunque di capire cos’è il benessere quando si parla di un’azienda, e come cerchiamo di realizzarlo in Archimede.

C’è ma non si vede. La so, è lo stress! Anche un’azienda, così come il singolo individuo, operando in stato di stress, cioè in una condizione più o meno lontana dal benessere, può realizzare obiettivi ambiziosi, prosperare economicamente. Ma a quale prezzo? Con quale dispendio di energia da parte di chi conduce e di chi ci lavora dentro? Il punto centrale non è dunque l’attività lavorativa di per sé o il tempo, la durata della giornata di lavoro, se il lavoro è poco o è molto, ma piuttosto riguarda le modalità con le quali si svolge l’attività lavorativa.

Se, infatti, si conservano le capacità di lavorare in modo morbido, non agitato, non ossessivo, non furioso o rabbioso, non preoccupato, non tensivo, si accumula molto meno stress e si ottengono risultati di gran lunga migliori; o anche si possono ottenere gli stessi risultati ma con molta meno fatica. Anche la capacità di restare internamente pieni durante il lavoro è di grande importanza per ottenere un benessere complessivo, uno stato di funzionamento che tenga lontano lo stress, anche se bisogna affrontare carichi di lavoro molto intensi.
Chi sta sempre teso e preoccupato deve forzatamente assumere un controllo di tipo duro, cioè un controllo teso e costante su tutto quello che accade intorno a sé, nel suo mondo lavorativo: un controllo che cerchi di soffocare ad ogni costo qualunque elemento estraneo, non previsto (invece di usarlo creativamente). Un controllo di questo genere finisce per essere affannoso, molto meno efficace di un controllo che potremmo definire morbido.
Lo stress vero e proprio, ricordiamolo, non è dato dalla quantità dei carichi di lavoro ma dal modo con cui si lavora: dalle frustrazioni o mancanza di gratificazioni profonde, dalla tensione esistente, dalle preoccupazioni eccessive, dal livello di scontentezza, dalla durezza con cui si affronta l’attività lavorativa. Lo stress di cui ci stiamo occupando è di quello cronico, che non si smaltisce con una pausa e una vacanza, che si insinua nei meccanismi profondi e produce malessere ed alterazioni.

E allora? Pochi obiettivi, ma buoni.

Antidoti: il senso di appartenenza. Un valore che gioca un ruolo importante è il senso di appartenenza all’azienda, la familiarità, il ritrovarvisi in un luogo accogliente che veramente “appartiene” a tutti coloro che vi operano.
O ancora, possiamo prendere in considerazione il fatto che l’azienda sia vista o meno come un elemento unitario, come qualcosa di intero anche se differenziato al proprio interno. Questo valore è determinante nel creare sinergie lavorative tra settori diversi, o all’opposto fattori di divisione e di rottura tra quadri differenti (ad esempio intermedi e dirigenziali), oppure tra settore e settore (ad esempio marketing e produzione), e così via.
In senso più generale anche l’immagine che l’azienda riveste nei confronti del proprio interno fa parte della funzione simbolica: un’azienda può essere percepita come intelligente, moderna, accogliente, sollecita, oppure antiquata, immobile, inerte, oppositiva.

Antidoti: la formazione. L’importanza della formazione aziendale è diventata un elemento di sempre maggiore rilevanza per conseguire il successo nelle società e nelle imprese, fino a trasformarsi in una vera e propria prerogativa dei manager.

È evidente che, in qualsiasi ambiente lavorativo e produttivo, per operare in maniera coesa ed efficiente è necessario essere compatti e far sì che tutti i dipendenti, dal primo all’ultimo, sentano di prendere parte ad un progetto comune. Dal punto di vista psicologico, la formazione aziendale assolve un compito indispensabile, in termini di utilità e beneficio, su un duplice asse: per il lavoratore perché si sente valorizzato e rilevante per l’andamento dell’impresa e per l’azienda perché in questo modo il dipendente lavorerà con maggiore impegno e motivazione. Insomma, siamo sempre lì.

Antidoti: il rispetto dei ruoli. Il luogo di lavoro sta diventando, sempre di più, uno spazio nel quale i problemi da risolvere sono di carattere socio-emotivo piuttosto che operativo. L’obiettivo non è più quello di risolvere i problemi, ma di strutturare dei rapporti con i colleghi il più innocui possibili e fondati su un finto egualitarismo che tende ad eliminare o ridurre l’importanza dei ruoli e delle responsabilità che ne derivano.

In base a questa visione premiante del quieto vivere, è fondamentale far di tutto per dimostrarsi amichevoli piuttosto che competenti. Così succede che spesso chi cerca di fondare il rapporto sulle capacità e sul rispetto dei ruoli è tacciato di immodestia o di senso di superiorità, e per questo, escluso dal gruppo.

In un contesto del genere è molto difficile riuscire a strutturare un’autorità riconosciuta, perché spesso chi dovrebbe esercitarla non lo fa, o per incapacità o per “quieto vivere”.

Se l’obiettivo non è essere riconosciuti per le proprie competenze, per la propria esperienza o per i propri meriti, ma semplicemente essere accettati dal gruppo in nome di una finta uguaglianza, si comprende come sia impossibile essere dei veri leader e si comprende come venga sminuita anche la propria funzione. In mancanza di ruoli riconosciuti siamo tutti uguali, tutti con le stesse responsabilità, ovvero nessuno è responsabile.

La leadership non può venire richiesta come un favore, ma deve essere accettata dal gruppo. Meglio una leadership imposta che nessuna  leadership.