6 novembre 2019, ore 8.30

È un uggioso mercoledì come tanti, solo che questa mattina non entro nel mio ufficio a Trento, bensì nel Palacongressi di Rimini; pronta per due giornate di formazione e aggiornamento, al Social Media Strategies!

Un evento che ha di geniale l’idea di far incontrare persone che operano nel medesimo campo e di dare una possibilità di confronto a professionisti provenienti da tutta Italia sulle novità, tendenze e prospettive future nel Social Media e Web Marketing.

Oltre 60 interventi, 4 sale formative (Advertising, Analisi, Creatività e Brand Strategy), più di 1600 partecipanti, due giornate… e io. 

7 novembre 2019, ore 18.00 

Il numero di pezzetti del mio cranio coincide con le ore di frequenza dei 21 speech a cui ho potuto partecipare, moltiplicato per le giornate seguenti di digestione e rilettura degli appunti. Tante idee, tante domande ma soprattutto tanti spunti di riflessione.

Una di quelle cose da “ma sì, lo so” che ci tengo a ricalcare è che Il digitale non sempre è la soluzione! 

Sappiamo che è fondamentale per tutti fatturare, ma stiamo lavorando nel modo giusto? Abbiamo compreso a chi stiamo parlando e perché lo facciamo? Il nostro target si relaziona con il digitale? Qual è il modo migliore per comunicare i nostri valori e di conseguenza i nostri prodotti/servizi?

Se abbiamo analizzato il nostro pubblico e siamo giunti alla conclusione che sì, il digitale è la svolta per la nostra comunicazione, passiamo alla vera protagonista dei piani di comunicazione: la creatività!

Guidate dalla digitalizzazione, le tendenze si stanno sviluppando in maniera costante ed imprevedibile in ogni campo. E noi poveri social media cosi dobbiamo stare al passo coi tempi anche se, dal mio punto di vista, a trionfare è sempre la rilevanza e la semplicità.

Le persone hanno dei bisogni e dei sentimenti, necessitano di empatia, o anche semplicemente di simpatia. Dobbiamo trovare il modo di passare dallo Storytelling allo Storydoing. Non possiamo tartassare il web con pubblicità che si incastreranno nell’imbuto dell’indifferenza degli utenti.

Lo scopo è quello di riuscire a catturare il punto di vista delle persone dando loro quello che desiderano davvero. Sfruttare la forza impattante della comunicazione visiva e condirla con messaggi ricchi di credibilità, rilevanza e pertinenza.

Una campagna di successo prevede dunque un’analisi di mercato, una profonda conoscenza dell’azienda, del prodotto e del target di riferimento, la definizione degli obiettivi da raggiungere e tanti brainstorming creativi che portino a creatività ricche di contenuti veri e coerenti, che permettano ai clienti di immedesimarsi nei valori della marca. Arrivati alla definizione creativa della campagna, gli unici insight che ci dovrebbero interessare sono gli insight emotivi.

Siamo professionisti del digitale – non salviamo vite umane, è vero – però abbiamo un’enorme responsabilità nei confronti degli utenti presenti in rete. Dobbiamo utilizzare i nostri strumenti in totale consapevolezza e rispetto dei valori, sentimenti e pensieri altrui.

Si è dibattuto molto negli scorsi anni sulla tendenza di varie aziende di sposare il “badvertising”, traducibile con la celebre frase di Oscar Wilde “Nel bene o nel male, purché se ne parli”. Quello che possiamo affermare nel 2019 è che le persone sono sempre più consapevoli della propria scelta di acquisto e una comunicazione sviluppata intorno al concetto di visibilità, piuttosto che di reputazione, potrebbe compromettere l’immagine aziendale in maniera irreversibile.  Nell’era digitale che stiamo vivendo non possiamo più ragionare in termini di “purché se ne parli” bensì di “perché se ne parli”.

Siamo tutti responsabili di quello che portiamo all’attenzione del pubblico, facciamolo bene.

Elena Beregoi